Inflazione resiliente: il rischio che le banche centrali non possono correre

Inflazione “resiliente” e aumento generalizzato dei tassi di interesse: quanto preoccupa l’aumento dei prezzi?

Vi è un rischio che i mercati hanno corso in rarissime occasioni e che potrebbe ripresentarsi alla porta degli investitori: quello di una inflazione “resiliente” che si accompagna a un aumento generalizzato dei tassi di interesse.
Uno scenario particolare, che le banche centrali hanno provato a scongiurare da principio: a partire dalle economie evolute, Stati Uniti in primis, alle economie in fase di sviluppo, diversi istituti centrali hanno iniziato a invertire la tendenza della loro politica monetaria per smorzare le aspettative di inflazione. E’ il caso di alcuni paesi esportatori di materie prime, colpiti in modo straordinario dall’aumento dei pezzi, dovuto in parte ai colli di bottiglia sul mercato, e di altri emergenti che hanno già iniziato ad aumentare i tassi di interesse nelle ultime settimane.
“È ancora scarsamente probabile che questo scenario possa manifestarsi” commenta Frédéric Leroux, Head of Cross Asset, Fund Manager, di Carmignac. Tuttavia, gli effetti potrebbero essere così significativi sul rendimento degli asset finanziari che è bene capire cosa ciò potrebbe determinare. “La fine della disinflazione costante ci costringerebbe a non tenere più conto delle reazioni scontate degli investitori mostrate negli ultimi decenni, e a dimostrare capacità di adattamento a un nuovo contesto”.

Stati Uniti e tapering

La Federal Reserve statunitense (Fed) ha iniziato il processo di tapering, rientro progressivo dalle misure di stimolo monetario che, alle condizioni attuali, porterà la Fed a interrompere il piano di acquisti mensili da 120 miliardi di dollari entro giugno 2022. Intervenendo in audizione in Senato il 30 novembre, il governatore Jerome Powell ha però sottolineato come il termine “transitoria” rivolto all’inflazione sia ormai superato e che si possa rendere necessario un aumento del ritmo del taper.
Il refrain “tapering a novembre, Natale a dicembre, muovetevi non c’è niente da vedere!” confermato dallo stesso Powell nella riunione di novembre potrebbe quindi essere smentito dallo stesso nel meeting del 14-15 dicembre.
Ma non è tutto: a impattare sulle prospettive economiche future è anche l’idea che la pandemia possa aver cambiato l’atteggiamento degli individui nei confronti del lavoro. “Il surplus in termini di risparmi accumulato durante gli ultimi diciotto mesi, pari al 12% del Pil statunitense, l’aumento significativo delle valutazioni degli asset finanziari e immobiliari, uniti all’esigenza di una migliore qualità di vita, potrebbero indurre un certo numero di famiglie a prendere in considerazione il pensionamento anticipato, la cessazione dell’attività di lavoratore dipendente per uno dei componenti, o un’occupazione meno vincolante in termini di orari”.

I potenziali fattori di inflazione

Alle considerazioni relative l’interruzione delle filiere produttive e la posizione di forza relativa dei lavoratori dipendenti nella trattativa sulle retribuzioni, aggiunge Leroux, vanno aggiunti altri due potenziali fattori di inflazione. “Il primo è il risultato di un cambiamento nelle politiche economiche, che ormai pongono maggiormente l’accento sulla politica fiscale” che consente di distribuire direttamente potere d’acquisto alle famiglie, in particolare a quelle con una propensione ai consumi elevata, “una dimensione inflazionistica che la politica monetaria contemporanea non è mai riuscita ad avere” continua. Il secondo fattore aggiuntivo che pesa sull’inflazione è l’incedere della transizione energetica, “che potrebbe innescare l’aumento duraturo dei prezzi di gas e petrolio a causa del calo degli investimenti nel settore delle energie da fonti fossili, la cui sostituzione con altre fonti energetiche richiederà molti anni”.
Non è quindi impossibile, conclude l’esperto di Carmignac, “che l’inflazione entri in un circolo prezzi/retribuzioni che potrebbe renderla più forte e duratura del previsto, imponendo il suo ritmo inaspettato alle autorità monetarie e agli operatori dei mercati finanziari”.
A sua volta, “il rischio di un intervento troppo morbido o troppo lento da parte delle Banche Centrali che possa far perdere loro il controllo sui tassi a lungo termine non sembra essere tenuto molto in considerazione dai mercati. L’aumento dei tassi sul segmento breve della curva è spesso considerato come espressione della vigilanza attiva anti-inflazionistica dei mercati, così come il forte rialzo dell’inflazione prevista dai prodotti indicizzati, ai massimi degli ultimi vent’anni o oltre a seconda delle scadenze.
D’altro canto, mantenere un’inflazione alta per lungo tempo avrà effetti negativi sui mercati dei tassi, più degli effetti positivi che avrebbe il ritorno alla normalità degli ultimi decenni.

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