Un mistero chiamato inflazione: come risolverlo in 5 mosse

Le sole azioni di stimolo monetario non sono state sufficienti a penetrare l’economia reale. Per ridefinire le aspettative di prezzo di medio e lungo termine, oltre alla liquidità, servono tempo e proattività. Come fare ad ovviare alla depressione dei livelli di inflazione?

L’inflazione strutturale, che esclude le componenti volatili legate al prezzo del cibo e dell’energia, ha superato il target del 2% una sola volta negli ultimi 25 anni, periodo che è coinciso con il culmine della bolla immobiliare statunitense. Dopo lunghi periodi di politiche monetarie ultra accomodanti, le principali banche centrali si chiedono quali leve rimangano da muovere per cercare di avvicinarsi all’obiettivo.

Per uscire da tale impasse sarà necessario penetrare l’economia reale, e spostare l’ago della bilancia con le sole azioni di stimolo monetario non è di per sé sufficiente. Per ridefinire le aspettative di medio e lungo termine, oltre alla liquidità, servono infatti tempo e proattività. Da dove è necessario partire per cercare di ovviare alla depressione del livello dei prezzi?

Inflazione: come incide il fattore tecnologia

Potenza di calcolo, velocità di trasformazione, algoritmi intelligenti ed una ottimizzazione di costi, materiali e attrezzature: la tecnologia applicata ai settori tradizionali ha portato con sé spinte deflazionistiche, difficili da modificare o invertire in corso d’opera. Una tendenza a tutto tondo, che ha condotto a ribasso il prezzo delle materie prime, utilizzate in maniera più selettiva: mentre i vecchi motori a combustione erano fatti di acciaio ed alluminio, le auto di nuova generazione (elettriche e a guida autonoma) si affacciano sempre più al mondo dei computer, modificando tipologia e quantitativo di materiali impiegati.

L’inflazione e la propensione al risparmio

Più risparmi, meno consumi e minori leve a rialzo sui prezzi: il cambio delle abitudini dei consumatori americani ha complicato una situazione inflattiva di per sé difficile. A seguito della Grande crisi finanziaria, il consumatore medio a stelle e strisce si trova infatti in una fase di “deleveraging”, riduzione dall’indebitamento, che l’ha portato a ridurre sia le voci di spesa ordinaria, sia gli investimenti di più lungo periodo (acquisto di immobili in primis). Essendo le voci di costo dell’abitazione le prime e maggiori componenti del paniere dell’inflazione, fintanto che tale tendenza non si invertirà, difficilmente il livello medio dei prezzi tornerà a sollevare la testa.

Inflazione: un problema di spesa ferma

Politiche accomodanti, stimoli monetari ed acquisti programmati: risultato? Prezzo delle azioni e degli attivi finanziari sui massimi, ed un’economia che non è riuscita a tradurre in investimenti reali la liquidità in circolazione. Gli sforzi delle diverse banche centrali, Federal Reserve in primis, volti a riattivare il tessuto economico attraverso programmi mirati di acquisto, non hanno dunque inciso sul livello dei prezzi. Questa situazione ha invece avvantaggiato i più abbienti, i cui portafogli finanziari sono migliorati, ma le cui spese sono rimaste inalterate, a favore di livelli di risparmio in crescita.

La relazione domanda di commodity – inflazione

Ingresso nel Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, solida espansione economica ed un rallentamento del tessuto produttivo più brusco delle attese: a partire dal 2001, la Cina è diventata una delle principali forze trainanti dell’economia mondiale, sia in termini di materie prime impiegate, che di prezzi del settore industriale. Seppur con un Pil ancora superiore al 6%, il recente calo della crescita cinese ha innescato un effetto contagio tra i principali mercati (sviluppati ed emergenti) connessi al successo economico di Pechino, impattando direttamente sulle fonti produttive (e sul prezzo delle materie prime).

Lavoratori in calo, inflazione a ribasso

Più tecnologia, minor slancio economico e minori possibilità di impiego, con una conseguente depressione della crescita salariale ed una spinta a ribasso dei livelli d’inflazione. L’eccedenza di candidati all’occupazione, hanno spiegato da Capital Group, non è però l’unica sfida che si pone all’orizzonte: una maggiore mobilità sul mercato del lavoro non incentiva i datori di lavoro a pagare compensi crescenti per spronare i propri dipendenti. I lavoratori statunitensi, inoltre, hanno sempre meno potere contrattuale, per via del ruolo sempre più marginale dei sindacati. Non da ultima, la tecnologia: innovazioni quali robot e machine learning stanno aumentando la produttività sostituendo le persone. Questa tendenza è destinata ad aumentare nei prossimi 10 – 20 anni, lasciando i lavoratori con un potere contrattuale ancora minore.

Sebbene la Fed e altre banche centrali continuino ad affrontare numerose sfide nel tentativo di aumentare l’inflazione, talune dinamiche economiche potrebbero cambiare in futuro. Ad esempio, se i consumatori aumenteranno la spesa, lo stimolo monetario potrebbe produrre un maggiore impatto. Così come una nuova politica. La Fed sta iniziando ad esplorare ora un’opzione nota come “obiettivo di inflazione media” (average inflation targeting): tale strategia incoraggia i prezzi al consumo a salire per un certo periodo di tempo per compensare le fasi in cui saranno inferiori al target. L’obiettivo è raggiungere la media del 2% nel corso di un ciclo: sarà sufficiente a soddisfare i mercati?

 

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