Mercati emergenti alla rincorsa degli Stati Uniti

Lo spostamento verso debito in valuta locale e debito a più lungo termine ha contribuito a ridurre la dipendenza dei mercati emergenti dai flussi di capitali esteri a più breve termine. Con quali effetti?

Economia emergenti alla rincorsa dei paesi sviluppati che, col vento in poppa agli Stati Uniti, vantano prospettive di ripresa economica migliori.
Come mostra l’ultimo report World Economic Outlook (WEO) del Fondo monetario internazionale (Fmi), la crisi pandemica attraversata ha accentuato la divergenza nella crescita economica tra mercati già progrediti e mercati in fase di sviluppo. Nell specifico, il Fmi si stima che le economie emergenti hanno perso circa 12-14 mesi di crescita durante la pandemia, mentre le economie sviluppate si trovano a dover recuperare solo 6-8 mesi di crescita mancata.

Prospettive di crescita: chi va più veloce di chi

Da una panoramica, le prospettive di crescita mondiale per l’anno 2021 si attestano al 6% secondo il Fmi. Nello specifico: +8,6% le attese per le regioni emergenti e in fase di sviluppo nel mercato asiatico (e particolarmente legate all’economia cinese); +6,4% la stima di crescita degli Stati Uniti, grazie anzitutto alla potenza degli stimoli fiscali posti in essere rispettivamente dall’amministrazione Trump nel 2020 (3,2 mila miliardi di dollari) e Biden nel 2021 (5,4 mila miliardi di dollari nei primi sei mesi dell’anno); + 4,6% la crescita 2021 per l’America latina e i Caraibi, appena sopra l’Eurozona, che dovrebbe attestarsi al 4,4%. Seguono in ordine il Medio oriente e l’Asia centrale, con il 3,7% entro fine anno e l’Africa sub-sahariana con il +3,4%.
“La crescita economica” precisa Kirstie Spence, fixed income portfolio manager di Capital Group, è un fattore chiave per il rendimento del debito dei mercati emergenti. Sebbene vi sia scarso legame diretto tra una crescita più elevata e maggiori ritorni degli investimenti sul debito emergente, una crescita economica più rapida, misurata sulla crescita del Prodotto interno lordo (Pil), tende ad essere associata a indicatori fiscali e di credito estero più forti”. In genere, ad una maggior crescita corrisponde anche una più stabile situazione politica, che può consentire le necessarie riforme economiche. Una economia più stabile può portare a tassi di interesse più elevati, condizione che tende ad attirare capitali stranieri.

Il rischio dei mercati emergenti…?

Il rischio per i ME, prosegue Spence, “è che il rimbalzo della crescita globale sia così forte da inasprire la politica monetaria prima che il “ripple through”, l’onda lunga delle politiche monetarie espansive, abbia avuto la possibilità di trasmettersi alle economie dei ME”.
La politica fiscale anticiclica potrebbe anche entrare in vigore alla fine di quest’anno per molti nei mercati emergenti asiatici e probabilmente intensificarsi con il dissiparsi dello shock COVID.
Sebbene ciò possa ridurre il vento in poppa da una forte crescita globale, “non prevediamo una ripetizione degli errori commessi nel 2013”, quando la Fed, con un annuncio repentino di restringimento di politica monetaria, provocò il cosiddetto “taper tantrum”. L’allora reazione del mercato fu brusca, oltre le aspettative della stessa Fed: in sei mesi, il rendimento del decennale Usa passò dall’1,30% al 3%, con problemi seri per la sostenibilità del debito emergente in dollari,
“Nonostante la spesa fiscale e il debito siano aumentati da allora, lo spostamento verso il debito emergente in valuta locale e il debito a più lungo termine ha contribuito a ridurre la dipendenza dai flussi di capitali esteri a più breve termine”.

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