Guerra all’ultima valuta: chi beneficia di un dollaro debole?

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Esiste una valuta pronta a strappare lo scettro a Re dollaro? Capital Group ha analizzato le monete potenzialmente più interessanti

In poco più di dieci anni, dal 2011 al picco di fine 2022, il dollaro americano è cresciuto del 45% rispetto al paniere generale delle valute dei mercati sviluppati ed emergenti ponderato per l’inflazione di JP Morgan. Addirittura considerando i soli 12 mesi fino a giugno 2022, il prezzo del biglietto verde è aumentato del 12% rispetto all’euro, del 9% rispetto alla sterlina e del 16% rispetto allo yen.

In futuro la supremazia del Re dollaro potrebbe venire meno? Esiste un’altra valuta pronta a prendere lo scettro?

Spinta verso l’euro

Dal 2014 la Banca Centrale Europea ha adottato tassi d’interesse negativi. In particolare, il tasso sui depositi overnight delle banche presso la Bce è sceso a un minimo storico di -0,50% nel 2019, tasso che è stato mantenuto fino a marzo 2022 e fattore che ha tenuto ben lontani gli investitori stranieri. Ma la situazione sta cambiando. “Se i tassi di riferimento tra Bce e Federal Reserve dovessero restringersi come previsto, verrebbe meno un altro elemento trainante della debolezza dell’euro e del sostegno del dollaro”, suggeriscono da Capital Group.

Se è vero che gli investitori europei hanno sempre preferito acquistare più obbligazioni straniere rispetto ai titoli europei acquistati dagli investitori stranieri, quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi in modo aggressivo in anticipo rispetto alla Bce, si è presentata un’opportunità di carry trade molto allettante: “Al netto del costo di copertura del rischio di cambio, l’utilizzo di asset denominati in euro per l’acquisto di asset in dollari ha iniziato a risultare interessante”, spiega Jens Søndergaard, analista valutario di Capital Group.

Yen pronto per l’apprezzamento?

La Bank of Japan ha mantenuto invariata la sua politica monetaria ultra-accomodante, anche la più recente riunione ha infatti visto il neo-presidente Kazuo Ueda mantenere il tasso di interesse di riferimento a un livello negativo dello 0,1%. Questo tipo di politica ha a lungo impedito allo yen di apprezzarsi nei confronti del dollaro. Ma con l’inflazione che inizia ad aumentare anche nel Paese del Sol Levante, ad aprile è arrivata al 3,5%, la situazione potrebbe cambiare.

A dicembre, con grande sorpresa del mercato, la BoJ aveva deciso di allentare leggermente la sua politica di controllo della curva dei rendimenti, ampliando la banda di oscillazione di rendimenti dei titoli di Stato giapponesi a 10 anni e, secondo Søndergaard, è possibile che questo accada di nuovo quest’anno. “Consentire ai rendimenti decennali di crescere dovrebbe sostenere lo yen. La valuta nipponica scambia introno a 138 ¥ rispetto al dollaro ed è pertanto tra le più sottovalutate in base al nostro modello di valutazione”. Anche un piccolo rialzo dei tassi potrebbe segnare la differenza, determinando una diminuzione della domanda giapponese di dollari.

Emergenti un passo avanti

Quando l’inflazione è aumentata nel 2021 e prima ancora che Fed e Bce decidessero cosa fare, le banche centrali dei Paesi emergenti hanno agito in modo rapido e aggressivo, senza discriminazioni da ovest a est. La banca centrale brasiliana a marzo 2021 ha iniziato ad alzare i tassi di riferimento portandoli dall’originale 2% all’attuale 13,75%, seguita poi dalle banche centrali dei paesi dell’Europa orientale, a causa dello scoppio della guerra Russa-Ucraina, e dalle banche centrali asiatiche dopo l’aumento dei prezzi dell’energia.

I rialzi quasi immediati che i Paesi emergenti sono riusciti a mettere in atto hanno sostenuto le loro valute, rendendole particolarmente attraenti per gli investitori alla ricerca di reddito. Søndergaard sottolinea come “il real brasiliano e il peso messicano sono stati tra le poche valute ad apprezzarsi nei confronti del dollaro americano nel 2022 e, oltre ai rendimenti nominali e reali allettanti, anche le condizioni macroeconomiche sono migliorate”.

Guardando verso oriente, la riapertura dell’economia cinese non ha fatto altro che dare un’ulteriore spinta alla crescita della regione: la ripresa delle esportazione di materie prime dall’Indonesia alla Cina potrebbe favorire la rupia indonesiana, lo stesso potrebbe valere per il won coreano, anche se ancora sensibile dal momento che la Corea del Sud ha dovuto far fronte a un forte rialzo dei prezzi energetici, di cui è grande importatore e, con la ripartenza del turismo, anche il baht tailandese diventa sempre più interessante, con il settore terziario che sta sostenendo i tassi di crescita economica.

È forse ancora presto per selezionare chi sarà il successore del dollaro, ma non troppo per iniziare a tenere gli occhi aperti e per affacciarsi a mercati che, fino ad ora, si sono sempre ignorati.

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