Quest’anno per ogni 100 uomini promossi al ruolo di manager sono state promosse 87 donne. E questo divario non sembra essere sulla strada giusta per essere colmato
Il luogo di lavoro rappresenta “un campo minato mentale” per molte donne. Chi subisce microaggressioni ha una probabilità tre volte maggiore di licenziarsi
McKinsey: “Per scoprire le disuguaglianze nel processo di promozione, le aziende devono tenere traccia di chi si candida e di chi ottiene la promozione, per razza e genere”
I divari tra donne e uomini, sul lavoro, sono ben lontani dall’essere colmati. Nonostante alcune vittorie faticosamente ottenute (basti pensare alla crescita della rappresentanza femminile nella c-suite delle aziende), il fatto che il countdown della parità di genere ai vertici della scala gerarchica continui a scorrere a rilento si riflette a cascata sulla pipeline dei dipendenti. Tra l’altro, come rilevato da McKinsey & Company nella nuova e nona edizione dello studio Women in the workplace condotta su 276 aziende americane e canadesi che impiegano oltre 10 milioni di persone, la più grande barriera all’avanzamento delle donne non è più (o meglio, non solo) il famoso “soffitto di cristallo”, ovvero quell’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche, spesso invisibili, che si frappongono tra i ruoli dirigenziali e le donne. Ma è il “gradino rotto”, ovvero il primo gradino sul quale le donne finiscono per inciampare nel percorso di carriera.
Quest’anno per ogni 100 uomini promossi al ruolo di manager, infatti, sono state promosse 87 donne. E questo divario, anziché essere colmato, sta anche andando nella direzione sbagliata. Basti pensare che 73 donne di colore, in particolare, sono state promosse a manager ogni 100 uomini, in calo rispetto alle 82 dello scorso anno. “Sebbene le aziende stiano aumentando in modo modesto la rappresentanza femminile ai vertici, farlo senza affrontare il problema del gradino più basso rappresenta solo un palliativo temporaneo”, scrivono le cinque autrici del rapporto (Emily Field, Alexis Krivkovich, Lareina Yee, Nicole Robinson e Sandra Kügele). “A causa delle disparità di genere nelle prime posizioni, gli uomini finiscono per occupare mediamente il 60% delle posizioni dirigenziali, mentre le donne ne occupano il 40%. Dal momento che gli uomini sono nettamente più numerosi, ci sono meno donne da promuovere a dirigenti di alto livello e tale numero diminuisce a ogni livello successivo”, spiegano.
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Il tema del “soffitto di cristallo”, tra l’altro, è solo uno dei falsi miti sulla condizione delle donne sul luogo di lavoro. Innanzitutto, contrariamente a quanto si crede, le donne sono oggi molto più ambiziose rispetto al periodo pre-pandemico. Nove su dieci, con un’età inferiore ai 30 anni, desiderano essere promosse al livello successivo e tre su quattro aspirano a diventare senior leader. In generale, l’80% delle donne desidera una promozione, a fronte del 70% del 2019 e una su cinque afferma che la maggiore flessibilità le abbia aiutate a mantenere il proprio posto di lavoro o a non ridurre l’orario di lavoro. Un altro tema è quello delle microaggressioni, che “non hanno affatto un impatto micro”, dichiarano le autrici. Anni di dati dimostrano che le donne hanno il doppio delle probabilità di essere scambiate per qualcuno di più giovane e di sentire commenti sul loro stato emotivo. Di conseguenza, il luogo di lavoro rappresenta quello che definiscono “un campo minato mentale” per molte di esse. Il 78% di chi subisce microaggressioni modifica il proprio aspetto o il proprio comportamento nel tentativo di autoproteggersi e ha una probabilità tre volte maggiore di lasciare il lavoro.
5 azioni per rendere l’azienda più inclusiva
Ci sono tuttavia cinque aree sulle quali le aziende potrebbero concentrarsi per contribuire a costruire un ambiente di lavoro più inclusivo per le donne, secondo McKinsey. Innanzitutto, monitorare i risultati sulla rappresentanza femminile. Poi, sostenere e premiare i manager come “motori chiave del cambiamento organizzativo”, suggeriscono le autrici, ad esempio chiarendo le loro priorità, premiandone i risultati, puntando sulla formazione continua e assicurandosi che abbiano il tempo e le risorse per svolgere bene questi aspetti del loro lavoro. Inoltre, le aziende dovrebbero prendere dei provvedimenti per porre fine alle microaggressioni, insegnando ai dipendenti come evitarle e contrastarle e creando una cultura che renda naturale far emergere e discutere dei comportamenti lesivi.
Quanto al lavoro flessibile, secondo McKinsey le aziende dovrebbero stabilire norme chiare, tenere traccia dei risultati delle varie modalità di lavoro e adottare delle misure per garantire che i dipendenti e le dipendenti non vengano penalizzati e penalizzate per il fatto di lavorare in modo flessibile. Infine, l’ultimo tema è quello del gradino rotto. “Per scoprire le disuguaglianze nel processo di promozione, le aziende devono tenere traccia di chi si candida e di chi ottiene la promozione, per razza e genere”, scrivono le autrici. “Il monitoraggio con questa lente intersezionale consentirà loro di identificare e affrontare gli ostacoli incontrati dalle donne e perfezionare i processi di promozione”. Inoltre, i dirigenti dovrebbero mettere in atto delle misure di salvaguardia per garantire che i criteri di valutazione siano applicati in modo equo e che i pregiudizi non si insinuino nel processo decisionale.